L’elezione di Donald Trump come nuovo 47° presidente degli Stati Uniti d’America oltre ad aprire una stagione d’oro per l’America, probabilmente suona la sveglia anche per un Unione Europea troppo ripiegata su sé stessa, prigioniera di logiche globaliste e del cappio scorsoio del Green Deal che sta inesorabilmente soffocando l’economia del Vecchio continente.
Di fatto l’avvio della seconda presidenza Trump degli Usa dopo l’interregno di Biden costringerà l’Europa ad un duro risveglio, perché le sue certezze, così come le ha coltivate nel corso degli ultimi cinque anni coincisi con la presidenza della commissione Ursula Uno, saranno rapidamente mutate.
Cinque anni di politiche europee all’insegna del Green Deal (e quattro negli Usa) dovranno essere rapidamente cambiate, visto che la cancellazione imposta da Trump con il rilancio della produzione di energia fossile e la cancellazione dell’elettrificazione della mobilità non potranno non avere riflessi anche in Europa, dove l’energia, specie in Italia, costa quasi il triplo degli Usa (il costo del kWh 2024 è di 47,9 euro negli Usa e ben 138,3 in Italia; il gas naturale 13,3 euro contro i 49,3 dell’Italia).
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E se gli Usa chiudono i confini della loro manifattura, imponendo dazi alle importazioni, anche i produttori di massa come la Cina dovranno rivedere rapidamente le loro strategie, riposizionando le loro esportazioni sui mercati ancora aperti alla globalizzazione, come quello dell’Unione Europea, che rischia di essere definitivamente strangolato da esportazioni in dumping di pannelli fotovoltaici e di auto elettriche invendute negli Usa.
Trump suona la sveglia: la stessa Unione Europea deve rapidamente sterzare, uscendo dalle logiche ombelicali statali con la reciproca concorrenza tra gli stessi paesi unionali, superando gli attuali doppioni (se non triploni) istituzionali produttivi e difensivi per potere fare economie di scala che consentano all’Ue di competere ad armi più o meno simili, visto che la competizione tra una realtà energeticamente autonoma (Usa) e una no (Ue) è decisamente in salita.
Probabilmente, il risveglio dalle parti di Bruxelles, di Berlino e di Parigi sarà piuttosto brusco e travagliato, visto che da quelle parti ci si era cullati sulla certezza dell’intervento del “cugino” d’oltre oceano soprattutto nel settore della difesa Nato, settore cui Trump ha già spedito l’avviso che si cambia, con i paesi europei chiamati ad aprire la borsa e ad investire di più nella propria difesa.
E anche l’attuale globalismo europeo dovrà essere rivisto in profondità, così come si è già iniziato a fare nel campo strategico della microelettronica riavviando la produzione interna di chip per ridurre la dipendenza dai produttori orientali soggetti ad eccessivi rischi geopolitici. E lo stesso si dovranno fare nelle energie rinnovabili, cambiando gli addendi, ridurre gli investimenti sulle fonti troppo incostanti ed economicamente insostenibili se non pesantemente sovvenzionate, a partire dall’eolico, per passare ad un maggiore investimento sulla geotermia e sui carburanti rinnovabili prodotti da materie e scarti organici. Senza trascurare l’apporto del nucleare.
Si vedrà nelle prossime settimane se l’Ursula Due saprà virare rapidamente sui nuovi assetti internazionali o se l’Europa continuerà a danzare allegramente sulla discesa verso il baratro economico, sociale e pure ambientale tenendo ben alto il feticcio del Green Deal. In Usa hanno capito l’antifona, a Bruxelles ancora non del tutto, anche se il Ppe, partito di maggioranza a livello europeo, anche sulla spinta degli equilibri delle elezioni anticipate tedesche, spinge per un cambio profondo della strategia europea.
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