La sentenza della Corte costituzionale stabilisce una diversità di trattamento che non ha ragione di essere. Tocca al governo dare una chiara linea unitaria di gestione.
La questione del divieto al terzo mandato per i presidenti delle regioni è esplosa nelle mani della politica locale e nazionale a seguito della sentenza della Corte costituzionale sulla legge della regione Campania che l’autorizzava, rendendo rieleggibile l’attuale presidente Vincenzo De Luca, finita bocciata. Con un effetto collaterale di mettere fine anche alle ambizioni del veneto Luca Zaia, per il quale l’eventuale ulteriore rielezione sarebbe stato ben il quarto mandato consecutivo.
La sentenza è stata contestata dagli amministratori locali, per i quali il tetto al numero dei mandati costituisce una sorta di lesione democratica alla volontà dei cittadini di potere eleggere gli amministratori che vogliono, anche se meglio sarebbe ricondurlo ad un limite al dilagante carrierismo politico da parte di personaggi che con la politica hanno trovato un veicolo di promozione sociale e, soprattutto, economica che altrimenti non avrebbero avuto per le consuete vie dell’impegno lavorativo, professionale o imprenditoriale.
La sentenza della Corte costituzionale ha però generato figli e figliastri tra gli amministratori delle regioni, visto che si applica alle sole 15 regioni ordinarie, mentre per le 5 autonome non si applica. E la congiunzione temporale che, solo poche ore prima della promulgazione della sentenza, la provincia di Trento abbia approvato una modifica alla propria legge elettorale che consente il terzo mandato, è stata una sorta di drappo rosso sventolato dinanzi agli amministratori delle regioni ordinarie che fortissimamente vorrebbero succedere a sé stessi, a partire dal campano Vincenzo De Luca e dal veneto Luca Zaia.
Ora la questione della mancata omogenizzazione del trattamento elettorale nelle regioni italiane è nelle mani del governo Meloni che può decidere, entro i prossimi 60 giorni, di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale anche la nuova legge elettorale del Trentino. E’ tutta una questione di carattere politico, visto che a livello giuridico le regioni autonome hanno competenza primaria nel definire le proprie leggi elettorali ma, a livello politico, la maggioranza di centro destra ha sempre detto che di terzo mandato non se ne parla, tanto da prevederlo pure nel progetto di riforma del premierato con il limite di doppio mandato anche per il presidente del Consiglio dei ministri futuro prossimo.
La stessa Corte costituzionale potrebbe accogliere il ricorso del governo contro la legge trentina se ben articolato sulla base della necessità di armonizzare le leggi elettorali regionali senza fughe in avanti da parte delle autonomie speciali. Sorvolando sulla necessità da parte di Fratelli d’Italia di rendere la pariglia alla Lega Salvini che, nelle more dell’approvazione della legge trentina, ha contribuito a fare implodere la rappresentanza consiliare di Fratelli d’Italia, dimezzandola e rendendola di fatto ininfluente nei rapporti di forza all’interno della maggioranza, tanto che ora da parte degli esponenti della Lega Salvini del Trentino si punta a proporre una mozione di sfiducia nei confronti della vicepresidente FdI, Francesca Gerosa, colpevole di avere votato contro al terzo mandato fortissimamente voluto dal presidente leghista Maurizio Fugatti, espellendo quanto rimane di FdI dalla maggioranza di governo del Trentino.
Si vedrà cosa succederà nei prossimi giorni, magari all’indomani dell’esito delle elezioni comunali del 4 maggio che per il capoluogo Trento vedono proprio Fratelli d’Italia fortemente impegnati per guidare il centro destra contro il sindaco uscente Dem, Franco Ianeselli, mentre la Lega Salvini e, soprattutto, il presidente provinciale è praticamente latitante dalla campagna proprio per rimarcare la sua lontananza dalla sua attuale vicepresidente della giunta Gerosa che supporta in prima persona il candidato sindaco Ilaria Goio, chiamata ad una sfida che è al limite dell’impossibile. E se il risultato elettorale di Goio sarà probabilmente un pesante fallimento, questo si riverberà direttamente su Gerosa e su Fratelli d’Italia.
Comunque sia, il limite al numero dei mandati è fondamentale per evitare fenomeni di degenerazione di carrierismo politico, favorendo il ricambio al vertice delle istituzioni anche per portare nel governo di città, province, regioni e pure della politica nazionale un po’ di aria fresca e, magari, pure di competenza e di esperienze professionali. E per quei personaggi che si sentono defraudati della poltrona amorevolmente coltivata clientelarmente, per costoro si potrebbe ideare la figura del tutor – quella del commissario sarebbe politicamente troppo forte, anche se ideale – da affiancare a quei presidenti di regione o sindaci che sono in difficoltà nella gestione dei loro enti, nel tentativo di utilizzare bene i fondi pubblici disponibili – dal Pnrr ai fondi di coesione – senza doverli sprecare o restituire per mancato utilizzo. Potrebbe essere la quadratura del cerchio, dando un futuro ai poltronari irriducibili e un governo forse più capace a quei cittadini male amministrati.
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