Il clientelarismo pensionistico caro alla Lega Salvini scarica sull’erario l’ennesimo debito pubblico a vantaggio di pochi.
Mentre si studia il congelamento dell’aumento di tre mesi dell’età pensionabile che dovrebbe scattare dal prossimo 2027 a seguito dell’incremento dell’aspettativa media di vita e il modo con cui coprire le risorse necessarie al provvedimento, dagli stralci contributivi arriva una nuova tegola sulla testa del governo Meloni. A causa dello stralcio dei crediti contributivi fino al 2015 decisi con i provvedimenti introdotti tra il 2018 ed il 2022 dai governi Conte I e II e il successivo Draghi, nei prossimi anni bisognerà trovare 6,6 miliardi a copertura dei contributi mancanti per le pensioni dei lavoratori dipendenti.
Se lo stralcio delle cartelle contributive per i lavoratori autonomi nel lungo periodo non è rilevante perché le pensioni saranno più basse tenendo conto dei contributi non versati, per i dipendenti vige l’automaticità delle prestazioni e in caso di contributi non versati dall’azienda e poi rottamati perché gli assegni pensionistici devono comunque essere pagati sulla base dei contributi dovuti anche se non sono stati versati. Forse, varrebbe il caso di equiparare il trattamento tra lavoratori autonomi e dipendenti sul livello dei primi, per evitare di scaricare nuovi debiti sui contribuenti.
L’allarme scaturito dalla lettura dei dati arriva dal Civ dell’Inps che ha approvato la delibera sul riaccertamento dei residui attivi e passivi al 31 dicembre 2023, secondo la quale lo stralcio delle cartelle contributive spinto a più riprese dalla Lega Salvini comporterà la cancellazione di 16,4 miliardi. Le variazioni e le eliminazioni incideranno negativamente sul Rendiconto generale dell’Istituto per 13,4 miliardi dato che c’è anche l’eliminazione di residui passivi per 2,7 miliardi.
Nel dettaglio la diminuzione dei residui attivi (15,4 miliardi di euro su un totale di 16,4 miliardi) derivanti dagli stralci contributivi è ascrivibile allo «stralcio dei crediti fino a mille euro maturati dal 2000 al 2010» pari a 0,4 milioni, allo «stralcio dei crediti di importo residuo fino a cinquemila euro», maturati dal 2000 al 2010, pari a 5,4 miliardi (decreto legge 41/2021); allo «stralcio dei crediti di importo residuo fino a mille euro», maturati dal 2000 al 2015, pari a 9,9 miliardi (legge 197/2022).
Il Civ chiede quindi di incrementare i trasferimenti statali all’Istituto per coprire il buco che si determinerà nei prossimi anni. Ma questo ulteriore obiettivo non sarà semplice da raggiungere vista la situazione dei conti pubblici. A febbraio – secondo i dati appena pubblicati da Bankitalia – il debito è tornato sopra quota 3.000 miliardi a 3.024,3 miliardi, in aumento di 42,6 miliardi rispetto a gennaio. Nel 2024 il debito era a 2.966,597 miliardi con una percentuale sul Pil del 135,3%. La situazione rischia di peggiorare nei prossimi anni se non dovessero crescere i tassi di occupazione, gli orari di lavoro o la produttività.
A causa del calo della popolazione in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) legato alla transizione demografica, ha spiegato Bankitalia, si avrebbe una riduzione della disponibilità di lavoratori con una riduzione del Pil nei prossimi 25 anni dello 0,9% annuo. Il Pil pro capite si ridurrà dello 0,6% l’anno per effetto della parallela riduzione della popolazione complessiva.
Il Civ dell’Inps ha inoltre messo in evidenza come lo stralcio delle cartelle contributive non avrà ripercussioni sul patrimonio dell’Istituto perché viene coperto dal Fondo di svalutazione dei crediti, ma ha tuttavia ricordato la necessità di «interventi compensativi nei confronti dell’Istituto a carico della fiscalità generale» per i 6,6 miliardi di oneri che peseranno sulla gestione dei lavoratori dipendenti a fronte dell’automaticità delle prestazioni pensionistiche.
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