Il libro bianco 2025 “Valore Acqua per l’Italia”. L’Italia paga centinaia di milioni di euro di sanzioni per la mancata depurazione degli scarichi urbani.
Cresce il valore della filiera dell’acqua italiana intesa in senso esteso, che comprende gli utilizzatori dell’”oro bianco”, imprese, agricoltura e settore energetico: dalle risorse dell’acqua “dipende” il 20% del Pil italiano, un valore che ha superato i 383 miliardi di euro.
La filiera estesa dell’acqua è in crescita mediamente del 5% all’anno e dal 2015 a oggi coinvolge 1,5 milioni di imprese italiane. Per quanto riguarda invece i gestori del servizio idrico integrato, dal 2021 al 2023 sono stati realizzati investimenti per circa 7,1 miliardi di euro, cifra che sale a 13,2 miliardi se si considerano gli interventi programmati per il biennio 2024-2025.
I dati sono contenuti nel Libro bianco 2025 “Valore Acqua per l’Italia” di The European House Ambrosetti (Teha) e dal Blue Book 2025 realizzato dalla Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia, le raccolte più complete di informazioni sulla risorsa idrica in Italia, presentati a conclusione dei lavori della sesta edizione della di “Valore acqua per l’Italia” i cui 43 partner rappresentano 45 miliardi di euro di fatturato e oltre 260.000 occupati, servendo l’80% della popolazione italiana.
Il Libro Bianco ha un focus sul ciclo idrico esteso della filiera dell’acqua italiana che tra servizi, consorzi di bonifica e irrigazione, software e tecnologie, macchinari, impianti e componenti vale 11 miliardi di euro. Oggi in Italia il 16,1% degli investimenti dei gestori industriali nel settore idrico è destinato a tecnologie per l’innovazione e la circolarità (fonte Global Water Intelligence). Secondo i dati del Libro Bianco, entro il 2029 la quota di investimenti in tecnologie in Italia è prevista in aumento fino a raggiungere il 19%, un tasso di crescita tre volte superiore alla media dell’Ue a 27 Paesi. Gli investimenti sono orientati in particolare verso il riuso e il riciclo delle acque reflue (31,7%) e la digitalizzazione per la riduzione delle perdite (20,5%).
«I grandi utilizzatori di acqua in Italia – ha commentato Valerio De Molli, managing partner e Ceo Teha – costituiscono un pilastro fondamentale per l’economia del Paese. Il settore agricolo coinvolge oltre 1,1 milioni di imprese, con un valore aggiunto di 39,5 miliardi di euro e 930.000 occupati nel 2023. Le imprese manifatturiere idrovore contribuiscono al Pil con 287,7 miliardi di euro, impiegando 3,5 milioni di lavoratori in circa 330.000 imprese. Il settore energetico conta 10.000 imprese, generando un valore aggiunto di 25,3 miliardi di euro e dando lavoro a oltre 100.000 persone».
Per quanto riguarda il comparto del servizio idrico integrato, ha aggiunto Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia, «il fatturato complessivo ammonta a 8,9 miliardi con quasi 30.000 addetti impiegati. Si tratta dunque di un settore strategico non solo dal punto di vista della qualità della vita dei cittadini e della sostenibilità, ma anche sul fronte economico ed occupazionale».
Gli investimenti nel settore idrico sono cresciuti del 99% dal 2012, «anno di avvio della regolazione da parte dell’Arera, e con un’incidenza media del 37% dei fondi pubblici e contributi. Guardando oltre l’orizzonte temporale del Pnrr, un sostegno della finanza pubblica sarà fondamentale per affrontare le sfide future che il comparto dovrà affrontare».
L’Italia, ha detto Benedetta Brioschi, partner Teha, «deve affrontare con urgenza il problema dell’obsolescenza delle sue infrastrutture idriche. Con un’età media di 58 anni per i grandi invasi e una rete idrica in cui il 22% delle condutture ha oltre mezzo secolo, il rischio di inefficienze e sprechi è altissimo. A questo ritmo, servirebbero 250 anni per rinnovare l’intera rete».
La filiera dell’acqua italiana deve affrontare con decisione anche la parte finale del ciclo acqua, quella della depurazione, dove ampie zone del Paese è deficitario. Per adeguare il parco dei grandi depuratori italiani alla nuova Direttiva europea sulle acque reflue (2024/3019) saranno necessari investimenti fino a 1,5 miliardi di euro, in un Paese in cui 296 comuni e 1,3 milioni di cittadini sono ancora privi di un servizio di depurazione.
Per l’adeguamento dei depuratori, si stimano costi tra 600 milioni e 1,5 miliardi come somma dei costi di investimento e di esercizio richiesti, in base alle tecnologie impiegate. Investimenti nel settore depurativo sono necessari, considerando che in Italia si contano ancora 856 agglomerati in procedura di infrazione per un carico organico generato pari a circa 27 milioni di abitanti equivalenti, di cui il 76% al Sud. L’Italia è al 22/o posto nell’Ue–27 per la quota di acque reflue domestiche trattate in modo sicuro, con un valore del 70,2%. I Paesi Bassi sono il miglior esempio con il 99,8% di trattamento.
Ogni anno 6,7 miliardi di metri cubi di acque reflue vengono convogliati nei depuratori, ma una gestione più efficace potrebbe aumentarne il riutilizzo. Forti criticità nel servizio di depurazione al Sud (400.000 persone, 3% della popolazione regionale) e nelle Isole (640.000 persone, 9,9%). Questa situazione ha già portato all’apertura di 4 procedure di infrazione da parte dell’Ue, costando all’Italia 143 milioni di euro in sanzioni dal 2010 al 2021. Soldi letteralmente buttati nel cesso.
La qualità della filiera dell’acqua italiana è tra le migliori in Ue, ma tanti italiani ancora non bevono quella del rubinetto. Buoni, invece, i parametri relativi alla qualità delle acque, con l’Italia che si piazza al VI posto in Europa: nel Bel Paese l’85% dell’acqua potabile viene prelevato da fonti sotterranee, naturalmente protette. Secondo le recenti ricerche dell’Istituto superiore di sanità quasi tutte le Regioni hanno un tasso di conformità della qualità dell’acqua prossimo al 100%.
«Un livello di qualità che non è sempre del tutto percepito» ha detto Brioschi. Secondo i dati della ricerca condotta da “Valore Acqua per l’Italia”, più della metà degli italiani dichiara di non bere mai o solo raramente acqua del rubinetto, nella maggior parte dei casi perché non è ritenuta sicura, nonostante che in molti casi sia di qualità equivalente e pure superiore a quella consumata in bottiglia, specie se quelle in confezioni di plastica sono state conservate non in regola. «Se il 95% della popolazione coinvolta dichiara di prestare attenzione alla riduzione dei propri consumi d’acqua questa consapevolezza si accompagna, tuttavia, a comportamenti paradossali: solo il 6% ha una percezione corretta del proprio consumo idrico, mentre il 23% lo sottostima e il 71% non è in grado di quantificarlo».
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