giovedì 30 Gennaio 2025
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    Il cumulo di Zes e Industry 5.0 annullano il rischio imprenditoriale nel Sud Italia

    L’esperienza del Superbonus 110% voluto dal governo Conte con l’acquiescenza della Lega Salvini, prima, e del Pd, poi, pare non avere insegnato nulla, visto che con il “sacco” al bilancio dello Stato costato oltre 200 miliardi di euro si è ristrutturato circa il 4% del patrimonio immobiliare nazionale, spesso non quello maggiormente degradato: ora si fa il bis con gli investimenti produttivi, con il cumulo di Zes e Industry 5.0, gli incentivi previsti per le imprese situate nelle regioni Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, con una quota di contribuzione pubblica che arriva a ben il 100% della spesa.

    Il cumulo tra Zes e Industry 5.0 rischia di ingenerare una colossale corsa agli investimenti tra i crediti d’imposta per l’acquisto di beni strumentali e fabbricati, semplificazioni amministrative e altri vantaggi fiscali tipici delle agevolazioni per le Zone economiche speciali dell’area del Sud Italia con quelle di Industry 5.0 che prevedono una contribuzione fino al 45% della spesa in macchinari ammortizzati da almeno 2 anni e pure impianti fotovoltaici con un tetto di spesa complessivo fino a 10 milioni di euro.

    Di fatto, il cumulo tra Zes e Industry 5.0 annulla ogni sorta di rischio imprenditoriale, cosa che dovrebbe essere sempre il contraltare ad ogni investimento, per evitare che l’imprenditore spenda laddove non ci sia un minimo rendimento atteso, cosa che con la nuova tornata di investimenti agevolati non accade, tanto paga Pantalone, con la possibilità di ingenerare inutili sprechi e, forse, pure probabili abusi e truffe visto che i controlli che mediamente si riescono a compiere sono sempre una parte marginale rispetto al totale.

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    Lo scenario della “pioggia” di denaro pubblico su imprese che in altre situazioni avrebbero potuto provvedere da sé con le proprie risorse finanziarie – perché nelle regioni interessate esistono pure imprese in salute – finisce con il penalizzare le aziende in crisi di mercato di altre aree territoriali, a partire da quelle attive nel Nord Italia che devono combattere con la recessione del mercato tedesco e il rallentamento di quello francese.

    Netto il commento del segretario di “Patto per il Nord”, Paolo Grimoldi: «registro il malessere di tanti piccoli e medi imprenditori del Nord Italia che devono correre una gara impari rispetto ai loro colleghi delle aree della Zes Unica del Sud, con l’unico canale di finanziamento costituito da quello bancario che eroga poco e a caro prezzo. E questo nel silenzio dei rappresentanti istituzionali delle regioni del Nord Italia, a partire da quelli della Lega Salvini, che pare avere dimenticato le necessità della propria base di consenso. Servirebbe una migliore e maggiore equità nella ripartizione delle risorse pubbliche, evitando di penalizzare ingiustamente quelle del Nord Italia».

    Già, il malessere degli imprenditori settentrionali è forte, tra mercati in rallentamento, consti di produzione in crescita, burocrazia dilagante e tassazione asfissiante. Sarebbe utile che il governo Meloni evitasse di distinguere tra figli e figliasti, nonostante i secondi siano quelli che assicurano il maggiore gettito tributario al bilancio dello Stato, che poi non viene ripartito equamente tra tutti i protagonisti dell’economia nazionale.

     

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