La crisi dell’auto in Europa monta giorno dopo giorno e si fa sempre più grave, specie ora che Volkswagen ha dato la stura alla chiusura di fabbriche, licenziamento di migliaia di operai e alla riduzione per tutti quelli che rimangono degli stipendi di un 10% con il taglio di una serie di bonus. Se in Germania la crisi è la più dura d’Europa, anche in Italia non si scherza, con Stellantis che traccheggia, senza una strategia precisa, con il risultato di avere fabbriche in cassa integrazione continua, mentre i vertici valutano lo scenario di un’uscita anticipata con uno scivolo di ben 100 milioni di euro, nonostante i danni causati al Paese e a migliaia di dipendenti a stipendio ridotto.
Monta la protesta dei lavoratori di Volkswagen. In centinaia hanno manifestato, anche di notte, nella fabbrica tedesca che molti già danno per chiusa, quella di Osnabrück. Ma dopo l’annuncio di misure radicali volute dai vertici del gruppo, che intende chiudere tre impianti in Germania, oltre a quello Audi di Bruxelles in Belgio e tagliare gli stipendi del 10%, il clima è teso e incerto per tutti i dipendenti del colosso tedesco.
Sul fronte italiano, il presidente di Stellantis, John Elkann, ha fatto sapere in una lettera alla Camera che non si presenterà in audizione in Parlamento, come era stato richiesto, scatenando le rimostranze bipartisan dei parlamentari.
E’ sotto gli occhi i fallimenti della linea imposta dai vari vertici aziendali dopo lo scandalo delle emissioni truccate del Dieselgate, che ha visto particolarmente coinvolta Volkswagen che ha dovuto pagare oltre 20 miliardi di euro tra multe ed indennizzi tra le due sponde dell’Atlantico. E nonostante il cambio al vertice, anche il nuovo amministratore delegato Oliver Blume non si è dimostrato all’altezza della situazione, così come quello di Stellantis, Carlos Tavares.
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Ma nella crisi dell’auto non ha brillato anche l’Acea, l’associazione europea dei costruttori, troppo prona ai diktat della politica demagogica della Commissione europea, prima del trombato Frams Timmermans e ora, della probabile spagnola Teresa Ribera, che rischia di fare più danni se possibile del padre e della madre del Green Deal, lo stesso Timmermans e Ursula von der Leyen.
L’associazione dei costruttori automobilistici tedeschi VDA ha pronosticato che entro il 2035 potrebbero andare perduti altri 140.000 posti di lavoro in Germania nell’industria dell’auto, se il trend andrà avanti come accaduto finora, con un taglio di 46.000 posti fra il 2019 e il 2023 al settore che in Germania fino al 2023 occupava 911.000 persone
Ne va meglio nell’indotto della componentistica europea che, secondo la Clepa, l’associazione europea della componentistica automotive, dal 2020 ad oggi le perdite nette di posti di lavoro nel settore in Europa hanno superato i livelli dell’era Covid-19, essendo pari a 56.000 unità nonostante le per ora disattese proiezioni del 2021, che prevedevano 100.000 nuovi posti di lavoro nella filiera del veicolo elettrico entro il 2025. Nel primo semestre 2024, sono stati annunciati tagli per ulteriori 32.000 posti di lavoro, superando i 29.000 del secondo semestre 2020.
In Italia l’allarme sta crescendo anche per via del taglio netto dell’80% del fondo dell’automotive contenuto nella bozza della legge di bilancio 2025, che da più parti si chiede di modificare, perché al settore verrebbero a mancare circa 4,5 miliardi di finanziamenti.
La componentistica italiana, che significa un’occupazione di circa 170.000 addetti in 2.135 imprese con un fatturato diretto di 58,8 miliardi, prevede un rallentamento generalizzato degli ordinativi con rischi per l’occupazione.
E il rosso della crisi dell’auto rischia di diventare ancora più profondo della produzione europea vede l’introduzione dell’addizionale dei dazi all’importazione dele auto elettriche prodotte in Cina, pure quelle dei marchi europei, che va assommarsi all’attuale 10% con percentuali variabili dal 7,8% al 35,3%, portando la tassazione al 45% nel tentativo di sconfiggere la concorrenza sleale cinese sul fronte elettrico, che rischia un potenziamento della sua presenza sul fronte della motorizzazione termica, non toccata dalle addizionali sui dazi, con modelli che ormai non hanno più nulla da invidiare sul piano dello stile e dei contenuti tecnologici, con in più il vantaggio di una forte competitività sul fronte dei prezzi di listino per i consumatori.
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