Intanto, si scopre che l’attuale concessionario scaduto da 10 anni non possiede sufficienti requisiti finanziari per partecipare al bando e chiede soccorso ad altre realtà finanziarie.
Giù le mani dalla concessione A22 che è cosa nostra: questo, nei fatti, il senso della lunga, piccata controreplica diffusa dagli attuali azionisti pubblici – che detengono oltre l’80% del capitale di Autostrada del Brennero Spa – dopo la pubblicazione da parte de “il Sole 24Ore” della richiesta da parte degli altri concessionari autostradali riuniti in Aiscat – l’associazione di categoria cui pure Autobrennero apparteneva prima che l’amministratore delegato Diego Cattoni, è stato l’ultimo presidente dei concessionari, ritirasse l’adesione della società a seguito del suo mancato rinnovo alla presidenza – si chiedono modifiche al bando di gara pubblicato dal ministero delle Infrastrutture e trasporti, evidenziando alcuni contrasti con la normativa nazionale ed europea.
DI fatto, quella sottoscritta dai presidenti delle Province autonome di Bolzano e Trento, Arno Kompatscher (questo anche nella veste di presidente della regione Trentino Alto Adige, maggiore azionista singolo) e Maurizio Fugatti, di quelle di Verona, Massimo Pasini, di Modena, Fabio Braglia, di Mantova, Carlo Bottani, e di Reggio Emilia, Giorgio Zanni, oltre che dei sindaci dei capoluoghi e delle camere di commercio attraversati dai 313 chilometri dell’arteria autostradale, altro non è che una palese testimonianza di un preteso diritto feudale di transito su una infrastruttura pubblica, peraltro con concessione già scaduta da 10 lunghissimi anni.
«Le richieste o le azioni di annullamento del bando gara pubblicato dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, avanzate o intraprese in questi giorni da alcuni operatori del settore che non presentano alcun legame con la storia delle nostre comunità, risultano per tutti noi poco comprensibili nel merito, dannose nei potenziali effetti e contrarie agli interessi collettivi e pubblici che rappresentiamo» scrivono gli appellanti nella controreplica inviata a “il Sole 24Ore” ribadendo come «l’affidamento rappresenta un aspetto di cruciale importanza» perché a fronte di »un’ingente mole di traffico di attraversamento i cui benefici si riverberano su tutto il Paese» gli effetti dannosi pesano interamente sui territori, «in buona parte in un ambiente, quello alpino, di delicatezza estrema e caratterizzato da spazi limitati».
Gli amministratori firmatari ricordano come a fondare e «a finanziare, indebitandosi e senza un euro dallo Stato l’Autostrada del Brennero Spa, costruita 65 anni fa, furono proprio i territori, anche se oggi l’arteria è divenuta strategica per l’Italia e per l’Europa». Il bando pubblicato a fine 2024 dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, peraltro impugnato da Aspi, prevede investimenti per oltre 10 miliardi di euro. Nel bando è previsto anche un modello tariffario contestato da chi ha presentato ricorso. «Si tratta – spiegano nella lettere gli amministratori – di un sistema studiato dall’Autorità di regolazione dei trasporti per tradurre in investimenti d’interesse collettivo i ricavi previsti dalla riscossione del pedaggio, lasciando minor spazio ai dividendi riservati agli azionisti, con un rischio d’impresa molto significativo in capo al concessionario e non più solo allo Stato».
Peccato che i firmatari della replica, novelli reclamanti di un diritto feudale su un bene pubblico, sorvolino sul fatto che pare abbiano fatto i conti senza l’oste, anzi, gli osti. Oltre a confliggere con i principi della libera concorrenza e del divieto di ricorso alla finanza di progetto più volte ribaditi dalla stessa Commissione europea, cui il bando del Mit è stato sottoposto per l’approvazione preliminare, c’è poi la questione della durata cinquantennale della concessione che cozza contro la recente indicazione formulata dall’Autorità di regolazione dei trasporti che ha previsto – con l’approvazione dello stesso Mit – una durata massima delle nuove concessioni o della proroga di quelle esistenti di 15 anni, meno di un terzo di quella reclamata dai novelli feudatari di A22.
Ma la cosa più difficile da superare sta nella mancanza dei requisiti di solidità finanziaria richiesti dal bando per partecipare alla gara, visto che si chiede un fatturato medio negli ultimi 5 anni non inferiore al miliardo di euro, pari al 10% degli investimenti lordi da 10,257 miliardi da concretizzare durante i 50 anni di durata della concessione, un capitale sociale di almeno 513 milioni, pari al 5% dei lavori da effettuare. Inoltre è previsto il deposito di una fidejussione di circa 200 milioni di euro al deposito della candidatura e di una di un miliardo al momento dell’aggiudicazione a garanzia dei lavori da eseguire.
Di fatto, elementi che alla sola concessionaria scaduta da 10 anni in gran parte difettano e che impongono la discesa in campo di uno o più cavalieri bianchi a supporto degli ardimentosi feudatari autostradali. Cavalieri bianchi che, in una logica di massimo vassallaggio politico economico, potrebbero essere le municipalizzate energetiche possedute dagli enti locali del Trentino Alto Adige, Alperia e Dolomiti Energia, che dovrebbero ergersi a garante dell’affare con i loro fatturati miliardari in cambio, probabilmente, dell’estensione dei servizi di ricarica elettrica o di rifornimento d’idrogeno lungo l’arteria autostradale, forse un po’ troppo poco per un siffatto sforzo economico che cozza contro il “core business” delle due società energetiche, le quali dovrebbero semmai puntare a fare calare le bollette per aziende e famiglie piuttosto che buttarsi a capofitto e senza ritorni certi negli scenari voluti solo da azionisti politici.
Da tutta la vicenda emerge ancora una volta la necessità ineludibile di superare tutto l’assetto delle concessioni autostradali esistenti, specie per quelle in scadenza o già ampiamente scadute come nel caso di Autobrennero. Il ministero delle Infrastrutture e trasporti si è già dotato di un braccio operativo per la bisogna, la società Autostrade dello Stato, cui, volendo, si potrebbe anche aggiungere la Cav, la società che attualmente gestisce la Padova-Venezia e il relativo passante lagunare, dove Anas è in maggioranza con la regione Veneto, con quest’ultima che ha già messo le mani avanti per rilevare il prossimo anno la ricchissima concessione in scadenza dell’autostrada Brescia-Padova e della Valdastico attualmente posseduta dalla spagnola Abertis, alias famiglia Benetton che ne è il maggiore azionista.
Viste le problematiche evidenziate da Aiscat nel bando di gara per la concessione A22, Salvini farebbe meglio ad intervenire e a risolvere la situazione nel modo più lineare e corretto, facendo transitare la concessione A22 in Autostrade dello Stato, la quale dovrebbe poi subentrare in tutte le altre concessioni in via di scadenza, compresa la Brescia-Padova.
Non si capisce il perché in altri paesi europei a fine concessione le opere pubbliche così realizzate divengono tranquillamente di mano pubblica, spesso trasformandosi in autostrade a pedaggio libero – in Spagna ciò ha già interessato oltre 1.300 km di rete negli ultimi anni -, a tutto vantaggio dell’economia e dei territori serviti. Possibile che solo in Italia si continui a considerare una concessione temporanea di trent’anni come un diritto eterno, una manomorta senza fine, peraltro evidenziando anche limiti di visione, visto che solo oggi si parla di potenziamento dell’A22 quando avrebbe dovuto esserlo già vent’anni fa, visto che gli azionisti si sono cullati sul sogno di un potenziamento esclusivamente ferroviario finanziato in compartecipazione da parte di Autobrennero, la quale ha accantonato parte dei propri utili per decenni in un “Fondo ferrovia”, salvo non averlo ancora erogato allo Stato, se non per piccole parti, nonostante i ripetuti solleciti da parte dei ministri alle infrastrutture.
Insomma, sul fronte della concessione A22 è giunta l’ora di cambiare e pazienza se Salvini dovrà scontentare i desideri dei feudatari territoriali, in gran parte suoi sodali di partito.
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