giovedì 30 Gennaio 2025
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    Comprare casa impossibile per 10 milioni di famiglie

    Pure le locazioni sono spesso fuori portata per i lavoratori delle grandi città e dei capoluoghi. Ance denuncia il calo dell’attività immobiliare nel 2025 del 7%.

    Nelle grandi città (e anche nei capoluoghi di regione e di provincia) è impossibile comprare casa per 10 milioni di famiglie con un reddito fino a 24.000 euro lordi. È quanto emerge dall’Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni 2025 dell’Ance che indica Milano, Roma e Napoli come le città meno accessibili.

    L’ufficio studi dell’associazione indica che per pagare il mutuo per comprare casa si arriva a spendere la metà del proprio reddito, per il 20% delle famiglie meno abbiente anche oltre i due terzi. Pure l’affitto nelle grandi città è fuori portata per le famiglie più fragili. Per pagarlo si arriva a spendere quasi la metà del proprio reddito e per i meno abbienti anche oltre.

    Ance e Confindustria hanno presentato la proposta di un piano casa per i lavoratori e le famiglie, «così da soddisfare il bisogno strutturale di alloggi a un costo sostenibile», ha ricordato la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio. Il piano ha tre pilastri: semplificazioni urbanistiche e amministrative, misure fiscali, sviluppo di strumenti finanziari e di garanzia che rendano possibile la partecipazione all’investimento dei privati.

    «Ormai è chiaro a tutti – ha detto Brancaccio – che questo problema sociale ha delle implicazioni profonde e determina evidenti difficoltà allo sviluppo delle persone e delle famiglie a una vita serena e finalizzata a progetti di crescita. Ma le difficoltà di accesso alla casa – ha aggiunto – rappresentano anche un vincolo alla mobilità della forza lavoro e di altre categorie fragili (come gli studenti), ed incide negativamente sulle potenzialità di sviluppo dell’intera economia».

    Quanto al settore delle costruzioni, l’Ance prevede un 2025 in deciso rallentamento. Il 2024 ha segnato la prima frenata degli investimenti in costruzioni: l’aumento delle opere pubbliche non ha compensato il calo dell’edilizia privata e per il 2025 è atteso un ulteriore rallentamento afferma l’Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni 2025 dell’Ance. I dati indicano5,3% nel 2024 rispetto al 2023 nonostante il +21% delle opere pubbliche. E le attese per il 2025 sono di una nuova flessione del 7% malgrado il +16% delle opere pubbliche per effetto del Pnrr. «Il ciclo espansivo post pandemia è giunto al termine», ha osservato Brancaccio.

    L’Osservatorio dell’Ance registra una “riscossa dei comuni” con un aumento della spesa per opere pubbliche degli enti territoriali del 16,2% nel 2024, dai 18,6 miliardi nel 2023 a 21,7 miliardi nel 2024. Con questo aumento la spesa dei comuni supera i livelli del 2008, recuperando del tutto il drastico calo registrato tra il 2008 e il 2017 (-54,6%).

    Guardando al 2025, «la crescita delle opere pubbliche nel 2025 è legata alla massima realizzazione possibile del Pnrr» osserva l’Ance. Circa il 54% della spesa sostenuta finora (32 miliardi di euro) è riferibile al settore delle costruzioni. La maggior parte riguarda progetti già previsti e finanziati prima del Pnrr, si legge nell’osservatorio. I nuovi interventi, soprattutto nella seconda metà del 2024, hanno accelerato la loro attuazione registrando una spesa complessiva di 6,7 miliardi. Entro il 2026 restano da realizzare investimenti per 54 miliardi di euro.

    Il Pnrr rischia di rimanere largamente inattuato, con il rischio pe tutte le opere pubbliche avviate ma non completate entro la scadenza di giugno 2026 di dovere restituire all’Unione europea l’intero ammontare, con la conseguenza, oltre al danno di un’opera incompiuta, della beffa di dovere finanziarla per intero.

    Le difficoltà riguardano invece l’edilizia abitativa con una flessione degli investimenti nel 5,2% per le nuove costruzioni e del 22% per la riqualificazione nel 2024. Anche per il 2025 le previsioni sono di -2,6% per la nuova edilizia abitativa e di -30% per la riqualificazione «effetto dell’ulteriore rimodulazione degli incentivi fiscali» dopo la fine del Superbonus.

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