Aspi, Autostrade per l’Italia concessionaria di gran parte della rete autostradale italiana, si conferma una formidabile gallina dalle uova d’oro, capace di assicurare ingenti dividenti alla proprietà di turno, anche se ciò va a detrimento della capacità di autofinanziamento delle manutenzioni ordinarie e straordinarie, oltre che degli investimenti.
Aspi, dopo il ritorno in mano pubblica, con Cassa depositi e prestiti al 51% affiancata dai fondi Blackstone e Macquarie (24,5% a testa), non ha sostanzialmente mutato la propria politica nei confronti degli azionisti dopo l’uscita della famiglia Benetton dopo la tragedia del crollo del ponte Morandi a Genova e dei suoi 43 morti, avvenuta letteralmente a peso d’oro, visto che lo Stato è subentrato alla concessione non tanto revocandola per giusta causa per responsabilità oggettiva, ma pagandola ben 8,3 miliardi con tanto di subentro nella posizione debitoria.
Quel che preoccupa è la continua corsa a spremere Aspi per la sua redditività. Nei quattro anni del nuovo corso in mano a Cdp, Blackstone e Macquarie, la società ha erogato ben 2,4 miliardi in dividendi, spesso attingendo anche alle riserve accantonate o al ricavo proveniente da operazioni straordinarie, come la cessione della quota nella società che gestisce la tangenziale esterna di Milano. Appena sancito il subentro, a luglio 2022, la nuova proprietà di Aspi ha incassato l’intero utile del 2021 pari a 681 milioni che i Benetton avevano accantonato a riserva, 924 milioni nel 2022 e 785 nel 2023, mentre per il 2024 i dividendi sono stimati a quota 900 milioni.
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Di fatto, in questo lasso temporale gli incassi di Cdp, Blackstone e Mabcquarie ammontano a circa 3,3 miliardi rispetto agli 8,3 miliardi pagati per il subentro ai Benetton. Una corsa forsennata pare dovuta ad alcuni patti parasociali sottoscritti tra la mano pubblica Cdp e quella privata dei fondi Blackstone e Macquarie che avrebbero garantito una forte redditività agli investitori, specie della parte privata, tanto da farli rientrare rapidamente del loro investimento per poi generare solo utili netti.
Qui si apre una riflessione. Se Aspi è in grado di generare simili utili, perché Cdp non ha fatto uno sforzo ulteriore acquisendo direttamente Aspi senza ricorrere alla stampella dei fondi d’investimento, mantenendo in mano pubblica tutta la regia e redditività dell’operazione? Sarebbe bello saperlo, visto che la storia nazionale è zeppa di privatizzazioni all’italiana, dove i debiti sono stati pubblicizzati mentre gli utili privatizzati, come Fiat, gia FCA oggi Stellantis insegna.
E per garantire la cuccagna alla parte privata della proprietà di Aspi, c’è il problema di come coprire il fabbisogno del piano degli investimenti della società che ha il piano economico finanziario scaduto che prevede un ammontare passato da 14 a 35 miliardi di euro anche grazie alla spinta del rincaro dei materiali da costruzione. Il rischio è che gli utenti della rete autostradale sempre più disastrata debbano loro passare alla cassa, anzi al casello con un consistente rincaro dei pedaggi. E qua, il ministro titolare delle Infrastrutture, quel Matteo Salvini, che sogna di tornare al ministero degli Interni, dovrebbe dire una parola chiara in proposito.
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