Abitazioni shock: un messaggio pubblicato su un noto sito di annunci immobiliari propone un grazioso appartamento nel centro di Bologna che si affaccia nel cortile di un palazzo storico. Anche il prezzo – 600 euro al mese – per il mercato felsineo non sembra eccessivo. Peccato però che l’intera superficie dell’immobile si sviluppi su appena 8 (in lettere diconsi otto) metri quadri, che, al momento della visita, si scopre come in realtà sarebbero 6.
Abitazioni shock: quella che si è visto proporre chi, dopo aver letto la segnalazione, ha deciso di visitarlo prima di affittarla. Al monolocale si accede attraverso una piccola scala a chiocciola – con qualche problema di accessibilità per chi non è particolarmente agile o ha qualche disabilità – e all’interno dell’ambiente, dotato di una finestra simile per dimensioni a quelle di una rimessa, in meno di un passo, un passo e mezzo si trovano la mini cucina, il bagno e un letto da una piazza, che è parzialmente coperto dal piano cottura. L’armadio è in realtà un pensile riadattato con qualche appendiabiti e la “scrivania” ha le dimensioni di una mensola.
Il prezzo, però, è quello che fino a qualche tempo fa veniva richiesto per un appartamento di 50-60 metri quadri, un’abitazione vera e propria. Anche l’agenzia immobiliare, che tra gli annunci ha anche appartamenti di dimensioni “normali” e non solo micro alloggi, prima di far visitare il monolocale ha avvisato il potenziale affittuario delle dimensioni ridottissime, mettendolo in guardia sulla vivibilità della sistemazione, ma dicendo anche che il prezzo è in linea con le quote di mercato di altre città, per esempio Milano.
Sul prezzo potrebbe anche essere, ma forti problemi si nutrono sull’autorizzazione all’utilizzo residenziale concessa dal comune competente, anche alla luce della nuova normativa che ha fissato nel minimo di 20 metri quadri la superficie abitativa degli alloggi, già di per sé decisamente ridotta.
In Italia si assiste sempre più ad un mercato immobiliare che sta sfuggendo alle persone normali, tanto che il caro casa è probabilmente uno dei motivi per cui i giovani italiani risiedono anche oltre i trent’anni nel nido dei genitori. Ma il problema riguarda soprattutto coloro che per necessità di lavoro o per studio devono trasferirsi, che magari guadagnano uno stipendio normale per le dichiarazioni dei redditi italiani con un netto di 1.500-1.600 euro al mese, ma che non riescono a sopravvivere – letteralmente, specie nelle medie e grandi città del Nord e pure in quelle del Sud – nel luogo di destinazione quando l’affitto di un alloggio in una zona periferica, magari anche degradata e malfamata, porta via almeno il 50% dello stipendio, cui vanno aggiunti i costi delle bollette e del condominio – almeno altri 200 euro medi al mese – e con quel che rimane, un terzo e anche meno dello stipendio iniziale, acquistare cibo e vestiario, oltre al carburante per l’auto.
Mentre alcuni vorrebbero risolvere il problema abitativo legalizzando le occupazioni delle case altrui, libere o meno che siano, sarebbe doveroso che il governo Meloni rilanciasse un serio piano casa simile a quello degli anni Sessanta, realizzando abitazioni per lavoratori e studenti universitari. Il tutto potrebbe essere fattibile attivando un fondo immobiliare gestito da Cassa depositi e prestiti, coinvolgendo le realtà finanziarie – banche e assicurazioni – “convincendole” ad investire parte dei loro utili in un investimento sicuro in grado di assicurare un rendimento del 3-4% all’anno, magari accompagnato da qualche sorta di defiscalizzazione, ma proponendo alloggi di superficie accettabile ad un costo sostenibile.
Potrebbe essere un rimedio utile per tutti: per coloro che cercano un alloggio, per le imprese che dopo l’ubriacatura del Superbonus 110% devono tornare alla normalità e per il territorio che, più a realizzare palazzine ex novo, dovrebbe prioritariamente rivolgersi alla riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente degradato.
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