sabato 15 Marzo 2025
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    Riordino delle accise varato dal governo Meloni con aumento di gettito

    Il riallineamento con l’aumento del gasolio e il calo della benzina garantisce 1,1 miliardi di maggiori entrate. Deluse le promesse elettorali di tagliare il costo dei carburanti italiani, tra i più cari d’Europa.

    Dopo gli annunci di qualche mese fa, il governo Meloni vara il riordino delle accise sui carburanti che renderà il gasolio più caro e la benzina più economica. Un “riallineamento” che il governo aveva anticipato nel Piano strutturale di bilancio a settembre, e che ha ora approvato in via definitiva nel quindicesimo decreto di attuazione della riforma fiscale.

    L’accisa sulla benzina è di 72,8 centesimi al litro, quella sul gasolio è di 61,7 centesimi, con un differenziale di 11,1 centesimi. Quindi il punto di equilibrio dovrebbe avvenire a quota 67,25 centesimi, con un aumento di 5,55 centesimi per il gasolio e una riduzione equivalente per la benzina. Per arrivare all’obiettivo, spiega sempre il decreto, ci vorranno cinque anni a partire da ora, con un aumento o un calo annuale compreso fra 1 e 1,5 centesimi.

    Il provvedimento sul riordino delle accise porta in dote un regalo al governo Meloni: gli aumenti sul gasolio e gli sconti sulla benzina sono equivalenti, ma il gioco non è a somma zero perché il gasolio è venduto molto più della benzina. Nel 2024, secondo i dati dell’Unem (l’ex Unione petrolifera) in attesa della relazione tecnica al decreto, sono stati acquistati quasi 28,8 miliardi di litri di gasolio e 12,3 miliardi di litri di benzina. Con i consumi 2024, ogni ritocco di un centesimo vale circa 165 milioni all’anno, che sono il saldo fra i 288 milioni in più pagati sul gasolio e i 123 in meno versati sulla benzina. Al termine dell’allineamento, fa 1,1 miliardi di gettito aggiuntivo, che sono la differenza fra gli 1,93 miliardi in più caricati sul gasolio e gli 830 milioni in meno prelevati dalla benzina.

    Il decreto sul riordino delle accise ha il merito di lasciare invariata l’accisa per il gasolio agricolo e per il biocarburante in purezza riconoscendo quindi un credito al ridotto contenuto di CO2 dei biocarburanti.

    «L’iniziativa del Governo – ha commentato Gianni Murano, presidente UNEM – è sicuramente un segnale positivo, ma appare timida nel tentativo di supportare, così come auspicato, un percorso di decarbonizzazione che possa utilizzare appieno le potenzialità dei biocarburanti anche miscelati con i combustibili fossili».

    «È quindi auspicabile – ha proseguito Murano – che si possano sviluppare ulteriori passi verso il riconoscimento del credito carbonico dei biocarburanti che attualmente sono appesantiti da un’accisa per kg CO2 emessa pari a 5 volte quella dei fossili e 12-15 volte quella di elettrico e gas. Analogamente – ha concluso – urge individuare strumenti per la riconversione del sistema di raffinazione e, contemporaneamente, mettere in moto adeguate economie di scala in grado di sviluppare filiere nazionali competitive per dare supporto al processo di decarbonizzazione dei trasporti». Di fatto, a rigor di logica, i biocarburanti andrebbero venduti al costo commerciale ad accisa zero, gravato della sola Iva al 22%.

    Il “regalogenerato dal riallineamento delle accise andrà a finanziare il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri, con un fabbisogno a regime di 500 milioni. Certo, un governo e una maggioranza politica dotata di maggior coraggio avrebbe potuto tranquillamente trovare le somme necessarie per gli autoferrotranvieri nel reticolo di quei 60 miliardi di sprechi pubblici che ogni anno allignano nel bilancio statale che nessun governo trova mai la forza di tagliare, anche per liberare risorse per ridurre l’asfissiante peso del fisco su coloro che le tasse le pagano.

    Infine, c’è la questione che l’aumento del costo del gasolio avrà conseguenze sull’inflazione, visto che 700.000 del circa milione di mezzi pesanti dovranno sobbarcarsi maggiori costi di gestione che inevitabilmente finiranno per scaricarsi sul consumatore finale, situazione che coinvolge la distribuzione merci nei centri urbani, tutto un mondo del trasporto conto terzi che non gode dei benefici del cosiddetto gasolio commerciale e che oggi può contare su uno sconto di circa 0,26 centesimi a litro destinati ai veicoli da Euro 5 in su.

    Questi aumenti non saranno soli, perché a partire dal 2027 scattano anche gli oneri legati al costo delle emissioni di carbonio che saranno estesi a tutti gli utilizzatori di carburanti fossili, pari a circa 10 centesimi al litro che potrebbero crescere fino ad oltre 60 centesimi nel 2030.

    Tra gli scontenti i consumatori, i primi a pagare il conto. «Intervenire sulle accise proprio in un momento in cui il prezzo dei carburanti è tornato a salire rappresenta un colpo durissimo per milioni di automobilisti», dice la presidente di Adoc, Anna Rea, mentre Codacons parla di un aggravio per le tasche dei cittadini di 243 milioni di euro l’anno, «in 5 anni la misura costerebbe in totale circa 1,21 miliardi di euro».

    «In tema di carburanti il governo Meloni deve operare per una riduzione della tassazione complessiva che pesa su benzina e gasolio, e che porta i listini alla pompa praticati in Italia ad essere tra i più cari in Europa – afferma il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso -. Oggi le tasse (Iva e accise) pesano per il 58,5% sulla benzina e per il 54,3% sul gasolio: questo significa che su ogni litro di verde acquistato dagli automobilisti oltre 1,05 euro se ne vanno in tasse, 0,924 euro su ogni litro di gasolio. Solo nel 2023, ultimo dato ufficiale disponibile, della spesa totale di 70,9 miliardi euro per i carburanti, ben 38,1 miliardi sono finiti nelle casse dello Stato a titolo di Iva e accise».

    Secondo il report realizzato da Assoutenti e Centro di formazione e ricerca sui consumi (Crc), il peso delle tasse sui carburanti in Italia è più alto del 12,5% rispetto alla media Ue. «Al di là del riordino delle accise chiesto dall’Ue – sottolinea Melluso – riteniamo urgente aprire una riflessione a livello comunitario affinché si arrivi ad un sistema unico di tassazione sui carburanti, identico in tutta Europa, anche per evitare che l’Italia perda competitività rispetto a Paesi dove i carburanti costano sensibilmente meno e impattano meno su famiglie, industrie e imprese».

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