Colpiti specie i “ricchi” oltre i 35.000 euro che sopportano il 63,4% dell’intero gettito Irpef. Garantire a costoro maggiore equità utilizzando parte del recupero dell’evasione per tagliare le tasse.
Il combinato disposto tra la forte inflazione dell’ultimo triennio pare a circa il 17% e il rinnovo dei contratti aziendali ha comportato un aumento nominale dei redditi, ma di fatto compresso i reali guadagni del 3,6%, colpendo con il “fiscal drag” in particolare coloro colpevoli di guadagnare più di 35.000 euro lordi all’anno, soggetti che si sono visti di fatto aumentare le tasse anche grazie a una serie di provvedimenti minori, contenuti anche nella finanziaria 2025, come la riduzione delle deduzioni o l’aumento del fringe benefit sulle auto aziendali assegnate.
La spinta inflattiva ha di fatto aumentato la pressione fiscale negli anni 2023 e 2024 perché i rinnovi dei contratti di lavoro del periodo 2021-2024, pur non recuperando tutti gli incrementi del costo della vita, hanno contribuito ad innalzare i redditi nominali, talvolta facendo valicare le soglie di scaglione fiscale e, grazie al sistema fiscale progressivo, aumentare il prelievo fiscale.
Tutti i provvedimenti di sostegno ai bassi redditi, dagli 80 euro renziani al bonus da 100 euro di Gualtieri, alla decontribuzione di Draghi consolidata da Meloni, di fatto si sono evaporati sotto la spinta dell’inflazione e del “fiscal drag”, tanto che alla fine nelle tasche degli italiani c’è il 3,6% di guadagno effettivo in meno.
In tempo di inflazione, specie se questa è alta, a festeggiare sono i ministri delle Finanze che vedono aumentare l’incasso dalla tassazione se i governi non intervengono per sterilizzare il maggiore prelievo innescato nominalmente dal caro vita. Con una velocità variabile a seconda del reddito dichiarato, visto che fino ad oggi tutti i provvedimenti di riduzione delle tasse hanno interessato sì una vasta platea di contribuenti, quel 60% degli italiani che guadagnano meno di 15.000 euro lordi all’anno, su cui pesa solo l’8% del peso complessivo di quei 189,5 miliardi di gettito Irpef che, viceversa, grava per il 63,4% su quel 15,27% di disgraziati colpevoli di essere “ricchi” con un reddito lordo annuo maggiore di 35.000 euro. Soggetti per i quali anche la Finanziaria 2025 ha proposto una serie di aumenti fiscali di fatto con l’abolizione o la riduzione di una serie di deduzioni, oltre a una serie di tassazioni autonome, come quella sul “fringe benefit” sull’auto aziendale assegnata che, secondo l’Aniasa, comporterà una maggiore tassazione di 1.600 euro all’anno.
Secondo Itinerari Previdenziali, nell’ultimo triennio con un’inflazione cumulata del 17%, la situazione è peggiorata, con un maggiore prelievo di 25 miliardi di euro sui redditi di lavoratori e pensionati. Sarebbe doveroso che il governo Meloni destinasse parte del maggiore incasso dalla repressione fiscale conseguito nel 2024, circa 3 dei 33 miliardi complessivi, ad onorare l’impegno per ridurre la pressione fiscale su coloro che le tasse le pagano, e tante, e che fino ad oggi sono stati ignorati dai tagli intervenuti su coloro che già di tasse ne pagavano poche. Oltre a mantenere la promessa di intervenire anche sul secondo scaglione da 35.000 a 50.000 euro tagliando l’aliquota dal 35 al 33% e innalzando la soglia superiore a 60.000 euro, sarebbe doveroso anche ripristinare l’equità tra i contribuenti, assicurando a tutti il medesimo trattamento fiscale in termini di deduzioni e detrazioni, oltre a stabilire un meccanismo automatico di taglio delle tasse in presenza di alta inflazione per evitare l’effetto “fiscal drag”.
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