Attacca il valzer delle accise Sad, i sussidi ambientalmente dannosi, per cui si devono azzerare le agevolazioni esistenti sui carburanti, a partire dalle accise gravanti sul gasolio che gode di uno sconto di 11 centesimi al litro (pari a 62 centesimi) rispetto a quelle gravanti sulla benzina (73 centesimi).
Secondo quanto disposto dal governo nella predisposizione del piano strutturale di bilancio, la commissione Finanze del Senato ha approvato il progressivo riallineamento delle accise tra benzina e gasolio, con l’aumento di 1-2 centesimi al litro sul gasolio e un analogo ribasso per la benzina, con un bilancio complessivo in attivo di circa un miliardo di euro per il bilancio statale, visto che i consumi di gasolio sono circa il triplo rispetto a quelli della benzina.
Dopo mesi di attesa, il riallineamento è stato varato sotto la spinta di trovare le risorse per coprire i costi per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri che costa circa 300 milioni di euro, quando queste risorse avrebbero potuto facilmente essere rinvenute all’interno di quei circa 60 miliardi di spesa pubblica aggredibile ben radicata nel bilancio annuale dello Stato sotto la voce sprechi e manomorte clientelari.
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Intervenire su questo fronte invece di contrabbandare la ricerca di risorse con lanciando il valzer delle accise Sad, sarebbe stato più lineare e coerente pure con le stesse promesse elettorali del 2022 quando la stessa futura premier Giorgia Meloni batteva il tasto della riduzione delle accise sui carburanti perché per un pieno da 50 euro, più della metà finiva nelle casse dello Stato, e il resto nel serbatoio destinato a riempirsi della metà.
Non solo: se il valzer delle accise Sad è stato giustificato da motivazioni ambientali affermando come il gasolio sia più inquinante della benzina, questo evidenzia la profonda confusione che alberga nella politica figlia dell’impreparazione e dell’improvvisazione, visto che si ignora come il motore a gasolio, grazie alla migliore efficienza e rendimento termico, consumi – e, quindi, inquini – circa il 30% in meno rispetto al propulsore a benzina, oltre al fatto che con lo standard evoluto Euro 6 tra filtro antiparticolato e iniezione di urea le emissioni allo scarico utilizzando gasolio fossile sono decisamente ridotte, spesso sotto i livelli strumentalmente misurabili, tanto che nei test RDE su strada condotte da organismi indipendenti con vetture munite di analizzatori portatili Pems allo scarico, l’aria aspirata dal motore risulta più sporca di quella restituita allo scarico.
Emissioni che si riducono fino al 90% se poi si utilizzano i nuovi gasoli a base vegetale e di materiale organico di scarto come quelli sviluppati dalle bioraffinerie Eni, nonostante siano gravati dallo stesso ammontare delle accise dei gasoli fossili. Anche qui, se il governo Meloni volesse essere coerente con le sue ambizioni ambientali, dovrebbe sì aumentare le accise sui carburanti di origine fossile, ma al contempo abbassare grandemente – dello stesso livello del calo delle emissioni ottenute – il prelievo fiscale su quelli ambientalmente sostenibili. Cosa che non farà, ovviamente. Con il risultato che anche a Meloni manca quel coraggio di applicare la cesura con i vecchi governi della Repubblica che nei carburanti italiani più cari d’Europa hanno sempre trovato la pronta cassa per alimentare ogni tipo di spesa (e di sprechi).
Il valzer sulle accise Sad potrebbe avere ripercussioni anche sull’andamento dell’inflazione, visto che con il gasolio si muove l’80% dell’economia nazionale. Un aumento della tassazione sul diesel di 1 centesimo di euro, calcola il Codacons, si tradurrebbe in una maggior spesa per complessivi 245 milioni a carico degli automobilisti proprietari di vetture a gasolio; 490 milioni in più se l’incremento fosse di 2 centesimi. Una “stangata”, la definisce il Codacons, su 16,7 milioni auto diesel circolanti in Italia, oltre alle centinaia di migliaia di camion, visto che comporta un aumento di 0,61 euro su un pieno da 50 litri, se si tiene conto anche dell’Iva applicata sulle accise.
I rincari fiscali riguardano anche le sigarette, già decisi dagli aumenti della manovra 2023 rivisti con la manovra 2024. Gli incrementi variano da 0,10 a 0,30 cent a pacchetto e non riguardano tutte le marche. Più cari anche il tabacco trinciato e i sigari.
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